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Pubblicato: 09 Gennaio 2019
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Mare di plastica: solo l’economia circolare potrà salvarci dal “marine litter”
L’inquinamento delle acque è diventata una costante delle nostre esistenze, una sorta di conditio sine qua non alla quale non abbiamo voglia o forza di opporci poiché i livelli di questo fenomeno sono ormai fuori dalla portata della nostra immaginazione.
Il dramma dell'inquinamento marino da plastiche
Focalizziamoci solo sul mare, sulla sua flora e fauna, proviamo a pensare a quante volte ci capita di vedere immagini di distruzione ambientale legata al paesaggio marittimo: distese di rifiuti galleggianti, uccelli e pesci dagli stomaci gonfi di microplastiche, scene semi apocalittiche che però ritornano (anche più volte) nel nostro quotidiano tramite siti e blog d’informazione, foto e moti d’indignazione mista a rassegnazione sui vari social.
Un fenomeno in costante crescita
Lo sversamento continuo di plastica negli oceani produce oggi, a distanza di mezzo secolo, effetti devastanti. Nel Pacifico oggi si aggira raminga quella che comunemente definiamo un’isola di plastica, una sorta di conglomerato dei residui plastici presenti nell’oceano, trasportati dalle correnti e ammassatisi in un unico grande insieme di rifiuti che, se non spaventa le coste a cui più è prossimo, di sicuro è uno dei simboli negativi del rapporto uomo-natura. Stiamo parlando di un’isola, che gli anglofoni hanno ribattezzato Pacific Trash Vortex o anche Great Pacific Garbage Patch, che si estende su una superficie superiore a quella di Francia, Spagna e Germania sommate tra loro.
Il Pacific Trash Vortex
Questa marea fluttua minacciosa tra l’Asia e il Nord America minacciando specie marine e volatili che sono spesso si incagliano nel marasma plastico o ne ingurgitano i materiali. Distogliendo un secondo lo sguardo dal crudo immaginario dell’inquinamento oceanico, leggiamo i numeri che ancor più distintamente palesano una situazione di emergenza: i ricercatori della University of Georgia, della University of California e della Santa Barbara and Sea Education Association hanno monitorato il ciclo di produzione della plastica e rilevato che ogni anno vengono prodotti oltre 400 milioni di oggetti in plastica, un numero in crescita che seguendo il trend potrebbe portale la quota alla cifra di 12 miliardi di tonnellate.
Un nemico insidioso: le microplastiche
Il dato che interessa ancora più da vicino i mari del nostro pianeta è questo: una cospicua percentuale di questi rifiuti finisce in acqua, circa 8 milioni di tonnellate. Il problema del “marine litter” (rifiuti in mare) ha un ulteriore drammatico ovvero la diffusione di microplastiche, microscopiche particelle di materiale plastico che vengono continuamente inghiottite dal fauna marina al punto da essersi evoluto in elemento della catena alimentare, malgrado la tossicità.
La situazione del Mar Mediterraneo
È sbagliato credere che l’isola di plastica sia solo un effetto collaterale dell’unione di inquinamento e correnti oceaniche che hanno ammassato in un unico punto, seppur così esteso, tutti i rifiuti galleggianti. Il problema è di carattere globale: restringendo il campo al solo Mar Mediterraneo notiamo che le stime indicano la presenza di circa 250 miliardi di materiali plastici, 40% dei quali composti da buste e detriti di vario genere. Ma dal Mediterraneo alle sue coste la situazione non cambia, secondo una recente indagine condotta da Legambiente su 78 spiagge monitorate (400mila metri quadri) ci sono 620 rifiuti per ogni 100 metri lineari di spiaggia.
Riciclo ed economia circolare sembrano l’unica reale risposta da contrapporre a questo vero e proprio disastro ambientale. Per quanto riguarda il primo punto, grazie alle moderne tecnologie oggi è possibile reimmettere nel ciclo produttivo la maggior parte del materiale plastico classificato come rifiuto, lo sa bene l’Italia che oggi recupera il 76,9% dei rifiuti che produce, quasi il doppio rispetto alla media europea. Uno sforzo anche molto conveniente e remunerativo considerato che il settore, restando sui numeri del bel paese, produce valore per circa 12 miliardi e mezzo di euro, pari all'1% del PIL.
Economia circolare e riciclo delle plastiche: l'esempio dei contenitori per alimenti
Materiali plastici come l'HDPE (ovvero il polietilene ad alta densità) e il PP (il polipropilene) in molti casi possono essere rifusi e utilizzati per nuovi materiali, come capi sintetici o qualsiasi tipo di contenitore. D’altro canto esistono ambiti dove non è possibile sfruttare la virtuosa pratica del riciclo; vediamo per esempio leggi come il protocollo HACCP che serve a prevenire le contaminazioni degli alimenti, rendendo quindi obbligatorio l’utilizzo di polietilene di prima fusione (come ben illustrato dai produttori di contenitori in plastica per uso industriale e alimentare). Per quanto non del tutto estinguibili, l’utilizzo di materie prime vergini può essere fortemente limitato, così come suggerisce uno dei capisaldi dell’economia circolare.
Le prospettive per il futuro
Si tratta di un vero e proprio sistema economico dove, almeno in linea teorica, i materiali per la produzione possono essere biologici, in grado di essere reintegrati in natura, o tecnici, che vanno riutilizzati ma non devono entrare in contatto con la natura. Il pragmatismo politico ha invece fissato (con l'approvazione al Parlamento europeo di Strasburgo del pacchetto sull'economia circolare) degli obiettivi ben precisi: il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere riciclato, l’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Il 65% dei materiali da imballaggio dovrà invece essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Il limite per il conferimento dei rifiuti in discarica è stato fissato al 10%.
Vanno di reti e cuore invece i pescatori britannici che hanno ribaltato il tavolo e si sono inventati il fishing for litter: la logica è quella di non rigettare in mare ma raccogliere i rifiuti che si tirano su durante l’issata delle reti. Il risultato è che oggi 30 porti tra Scozia e Inghilterra aderiscono al progetto assieme a 380 pescherecci, finora sono stati tirati su 1416 tonnellate di rifiuti. Una goccia nell’oceano, certamente, ma è il grande esempio di ciò che tocca fare a tutti, ovvero la nostra parte.
di:Davide Prandini