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Pubblicato: 24 Aprile 2020

Questa ricorrenza del 25 aprile apre a nuove consapevolezze.
Anzitutto nella memoria storica, per la portata del suo significato lasciatoci 75 anni fa da una generazione che si è quasi totalmente spenta, ma che disegnò l’idea e costruì la forma del Paese nel quale saremmo nati, vissuti e che attualmente abitiamo, divenuto Repubblica italiana fondata sui principi di democrazia rappresentativa e partecipativa, sui diritti individuali e di comunità: un popolo liberato dall’occupazione straniera e dalla sua ideologia nazista, dall’arroganza e dalla violenza fascista.
Il trascorrere del tempo non può e non deve annacquare la storia, né attenuare la forza trasformatrice delle donne e degli uomini che giunsero anche a donare la vita per opporsi alla perversione del male che aveva connotati ben precisi.
Pacificare la vita di un popolo non vuol dire mescolare le carte in tavola e far finta di niente, come se tutti abbiano diritto all’assoluzione per mancanza di responsabilità. Il fascismo squadrista, narcisistico, razzista e guerrafondaio è esistito ed ha annientato l’Italia, stremandola di vittime, povertà e inquietudini profonde. In quel passato si intrecciano il dolore e la passione sociale di coloro che, al contrario, hanno creduto nella libertà individuale collettiva, nel rispetto delle persone, nei diritti civili e politici, nelle relazioni sociali sgombre da insulti, violenza, rissosità, che arrivarono a causare l’uccisione senza pietà di bambini, donne, anziani (si ricordi Marzabotto) o di inermi cittadini (si pensi all’eccidio di Capistrello): la “tecnica dell’annientamento dell’altro”, del diverso considerato nemico da eliminare.
Conoscere e ricordare è il primo passo affinchè la coscienza collettiva blocchi sul nascere ogni tentativo di ridare dignità al fascismo e alla cultura che lo sottende. La versione storica del fascismo è passata sui libri; la sua pericolosità sociale, politica ed economica è pervasivamente presente e ritorna corroborata dall’ignoranza e dall’indifferenza di gente insoddisfatta, effimera, volgare e aggressiva. Tocca anche a noi – come accadde per le generazioni che aprirono alla liberazione del 25 aprile del ’45 – scegliere “oggi” da che parte stare: se accondiscendere ai mercenari degli attuali populismi o camminare accanto e lottare insieme a coloro che sono innamorati della vita, della pace e della non-violenza; che credono nella “libertà di …” (non “nelle libertà” senza fine e senza fondo, riservate a pochi a discapito di molti). Libertà è una responsabilità verso tutti attraverso le energie generative di una cittadinanza attiva che sappia riaccendere i motori della passione civile.
Questo tempo difficile del 2020 che stiamo vivendo ci pone di fronte a un “25 aprile” senza gli estetismi di cortei rituali, ripetitivi, divenuti quasi inespressivi. Può aiutarci a riapprezzare l’autentica versione dei fatti del passato per ritrovare in noi stessi il senso della “liberazione”, farci riflettere che la liberazione non è mai piena se non è anche dalla morte, descrivendoci l’esigenza di un nuovo e diverso “vivere e morire”. Può dare profondità alla storia attuale in una reale prospettiva di futuro, per tutti.
Gino Milano

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